Riprendiamo un’opportuna lettera per la Palestina a intellettuali e artisti, scritta dal regista Alessandro Negrini
Cari amici, da quando è iniziata quella che viene chiamata da tutti i media “guerra”, e che invece è uno sterminio, sono stati uccisi 28091 palestinesi.
Di questi, 11.023 bambini e 5.683 donne.
Più di 1.000 bambini palestinesi hanno perso una o entrambe le gambe. Il giorno di Natale le forze israeliane hanno compiuto una strage in un campo profughi. Il 90 per cento delle case dei palestinesi è stata o distrutta o gravemente danneggiata. I giornalisti uccisi sono 93, i medici uccisi 222.
I profughi – a cui è stato intimato di abbandonare entro 24 ore le loro case, poi distrutte, e spostarsi a sud in campi profughi “sicuri”, che a loro volta vengono indiscriminatamente bombardati – sono 1 milione e novecentomila. Privati di acqua potabile, ed energia elettrica. Gli ospedali sono costretti a fare amputazioni di arti senza anestesia, che riescono a compiere quando non vengono bombardati, perché lo sono, anche gli ospedali.
Sono stati inoltre uccisi tre ostaggi israeliani mentre sventolavano bandiera bianca, perché creduti palestinesi. Il ché si traduce nella candida ammissione che l’esercito israeliano spara anche ai palestinesi che sventolano bandiera bianca.
Una coscienza senza scandalo è una coscienza alienata, diceva George Bataille: cari colleghi, amici, compagni di questo viaggio che ci porta a raccontare la bellezza: dove siete? Dov’è la vostra voce?
Dove sono i cantanti? Dove gli attori? Dove i registi, gli intellettuali, gli accademici, tutti gli artisti prontissimi a balbettare una protesta, come una corporazione, soltanto durante i lockdown, quando ad esser intaccato era il perimetro della propria attività, le proprie serate, i propri set?
A parte meritevoli e coraggiose eccezioni, poche, di cui cito quelli che mi vengono in mente e mi perdonino coloro che dimentico, da Tomaso Montanari a Angelo d’Orsi, da Moni Ovadia a Marco Revelli, agli amici che rischiano esponendosi, in Italia il silenzio di fronte a quanto sta avvenendo è qualcosa di agghiacciante.
Abbiate un colpo di reni, gridatelo, proviamo a usare insieme le parole quando vanno usate e diciamolo, tutti: quello che Israele sta compiendo a Gaza è un genocidio, ed il governo israeliano va processato per crimini contro l’umanità.
Non è più tempo per pensare alle strette di mano che si possono perdere, a qualche spettacolo in meno che si rischia di avere.
A cosa ci serve parlare di bellezza, ignorando l’infamia? A cosa servono le parole di Neruda, di Shakespeare, dei poeti, i film, le canzoni, i dibattiti sulla bellezza – vivendo muti sordi e ciechi? A cosa serve quest’arte, ridotta a mero outlet del bello igienizzato da ogni possibile finestra sul presente?
Io credo che il compito degli artisti e degli intellettuali, oggi più che mai, sia quello di esercitare uno sguardo che creando bellezza sbugiardi l’infamia, perché denunciandola, ci si avvicina ad esercitare anche un altro diritto: il diritto al sogno.
Cosa fare? In primis uscire dal nostro mutismo ombelicocentrico. Insieme, essere lo sguardo che non si volta dall’altra parte. Magari facendo spettacoli, dedicando ciò che facciamo a questo popolo martoriato, inventandoci strategie, e sì, manifestando ciò che così poco è tollerato in questa nostra malata democrazia: il dissenso e la denuncia dell’infamia.
Amici artisti, accademici, intellettuali: coraggio! Alziamo tutti lo sguardo e riprendiamoci il senso del nostro fare arte e pensiero.
Ritroviamoci, tutti, nel senso del nostro creare e raccontare, così avrà poi un significato vero che travalica il nostro individuale recinto, il parlare del bello, di territori, di storie: altrimenti si è solo mero spettacolificio, cortigianeria silente, complici di fronte a questo abominio.
Alessandro Negrini
PS: i dati citati sono diffusi da Euro-Med Human Rights Monitor e citati dalla BBC e dal New York Times