La ricerca della verità. Il Giudice e lo Storico.
In occasione del collocamento in quiescenza del Prof. Angelo d’Orsi
Incontro con Angelo d’Orsi e Roberto Scarpinato
30 novembre 2017
Introduzione del Prof. Emerito Gastone Cottino
Angelo d’Orsi ha scelto, per festeggiare il suo settantesimo compleanno e il commiato dall’insegnamento ufficiale di Storia delle Dottrine politiche, l’austerità e il rigore del dialogo su un tema di bruciante attualità. Eppure qualche parola “fuori coro”, se non altro per dare allo straordinario impegno da lui profuso nello studio e nella militanza civile e politica il dovuto riconoscimento, credo mi sia consentito di dirla.
Certo è arduo tracciare nello spazio di pochi minuti introduttivi un quadro appena appena approssimativo della sua personalità e del suo lavoro: quale già l’immensa bibliografia impedirebbe, e soprattutto lo impedirebbe a chi storico di professione non è e solo non so quanto incautamente, avventuratosi in più occasioni, sugli ardui sentieri dell’indagine e ricostruzione storica. E tuttavia con il vantaggio di un giudizio forse più liberamente disincantato e più al riparo dalle occhiute censure degli autentici cultori della materia.
Dicevo della sua immensa bibliografia: essa è rivelatrice non soltanto di una costante dedizione alla ricerca – cosa già di per sé affatto scontata in noi professori universitari – ma anche di una instancabile vocazione all’esplorazione a tutto campo. A tutto campo e con il piacere e la voglia di addentrarsi in quelle che un po’ rozzamente definirei “terre vergini”; con il coraggio, ma forse anche con il gusto, di mettere mano a temi bollenti, di dissacrare miti, icone, imbalsamazioni agiografiche, di aprire indiscretamente porte che certa scienza ufficiale e autoreferenziale avrebbe preferito, soprattutto dopo il 25 aprile di 73 anni fa, tenere socchiuse se non proprio ermeticamente serrate. Sin da quando, autore precocissimo – a 24 e 25 anni dà alle stampe i due saggi su Le forze armate e la polizia in Italia –, prese avvio il suo cammino di storico del presente: per poi snodarsi su linee di indagine in cui il certosino scrupolo documentale si sarebbe accompagnato al rifiuto di qualsiasi asettico conformismo. Sorrette sempre dall’idea base, che pienamente condivido, della non neutralità dell’intellettuale, anzi del suo dovere di non esserlo.
Di questo disegno dalle molte trame tenterei – impresa peraltro disperata nel breve spazio di questo intervento – di individuare alcuni filoni: 1) gli studi sul pensiero politico e sui pensatori politici: un caleidoscopio che va da Labriola a Croce, a Gramsci, a Loria: per dirla in termini sinteticissimamente semplificati, da Mussolini ai nipotini di Padre Bresciani; 2) le indagini sulla genesi del fascismo, sul nazionalfascismo, sulle guerre del fascismo e dei fascismi: la toccante rievocazione di Guernica è del 2007; 3) i ritratti di grandi protagonisti del Novecento i Gobetti, Gramsci – il prediletto Gramsci cui ha dedicato l’ultimo lavoro –, Ginzburg, Salvatorelli, Bobbio; 4) le meno note incursioni nella letteratura: Pavese, Kafka, Parenti e nella musicologia: Massimo Mila.
Infine, cosa che mi sta più a cuore e sento particolarmente vicina alla mia sensibilità e ai miei interessi, la cultura e gli intellettuali. Il mondo degli intellettuali italiani del Novecento e della cultura a Torino fra le due guerre, e di allievi e maestri della nostra Università, nelle sue luci e nelle sue ombre; dell’Università cui Angelo ha dedicato tante energie, con le lezioni, i seminari, la sua rivista «Historia Magistra». L’Università e la cultura, le cui indagini stimolano tante riflessioni cui qui è appena possibile accennare: esse sono infatti il terreno su cui D’Orsi si è ancora una volta spericolatamente avventurato rompendo veli, compiacenze, ossificati decenni di consolidate osservanze, anche a rischio di riuscire sgradito, se non sgraditissimo, all’establishment.
Il tema è quello che in altra sede ho chiamato “la grande rimozione” – e, aggiungerei ora, “il grande riciclaggio” – nella transizione dal regime fascista al nuovo ordine costituzionale sorto sulle sue ceneri dalla Resistenza. Il tema del rapporto tra intellettuali – professori universitari in prima fila – fascismo e potere, su cui poco si ama scrivere criticamente, se non tutto si preferisce seppellire. E sul quale è stato uno sparuto manipolo di studiosi a fare luce: con D’Orsi e pochi altri, Pier Giorgio Zunino a Torino, Caterina Montagnani a Napoli. È, detta in termini più espliciti, il tema del tradimento dei chierici, cioè di chi, professore universitario, nel 1931 giurò fedeltà al fascismo: 12 soltanto non lo fecero; di chi non si sottrasse alle lusinghe di regime e si fece strumento, anche, nella nostra Università, dell’affermazione e consolidamento della dittatura: non solo, facilmente identificabili, i Silvio Pivano, i Vittorio Cian, Alfredo Pochettino, ma i molti silenziosi, acquiescenti, pavidi, compromissori. Né comunque – tranne rare, apprezzabilissime eccezioni – fece mai alcun atto di contrizione e di autocritica. Ora, proprio sulla questione del giuramento, sui miserevoli quando non miserabili cedimenti, approfittamenti prima e dopo la campagna razziale, si stese un velo: quel velo che D’Orsi non ha esitato a penetrare, a prezzo di riprovazione, se non di isolamento, come avvenne nel caso della pubblicazione del carteggio Solari- Bobbio da lui stesso curato con una bella introduzione. Ricordo che in esso, accanto alla rievocazione della figura di Gioele Solari, della sua statura di maestro, della sua umanità, della sua onestà intellettuale si facevano rilevare le piccole transazioni e debolezze dello studioso di fronte alla dittatura fatto che sollevò all’epoca le acide reazioni di alcuni colleghi. Guai, dunque – e qui ritrovo l’essenza del pensiero di Angelo d’Orsi – toccare i mostri sacri. Guai a sussurrare che la statura dei personaggi si misura non ignorando quelli che Norberto Bobbio chiamava “i lati oscuri”, seppellendo sotto una coltre di comodo, debolezze e conformismi, ma semmai riportandoli a unità attraverso una valutazione complessiva delle loro figure e comportamenti sì da recuperarne, con la loro umanizzazione, anche la grandezza.
Ancora qualche parola sulla passione e sull’impegno politico di D’Orsi, nelle battaglie civili a fianco di umiliati e offesi; come nel caso della Palestina e dei palestinesi in cui ha sfidato il comodo ma perverso luogo comune che la critica all’apartheid e alle feroci rappresaglie, se riguardano il governo di Israele, sono sinonimo di antisemitismo.
Caro Angelo, oltre che avere un carattere, diciamolo pure, non facilissimo, tu sei davvero scomodo; lo sei stato per quasi cinquant’anni e temo che lo sarai per un altro augurale mezzo secolo. Ma, se mi consenti, anche io un po’ mi considero tale; e per le stesse ragioni. Né trovo motivi per pentirmene.